È stata condannata a 9 anni di reclusione (5 per concussione e 4 per peculato) Albina Colella, professoressa di geologia dell’Università della Basilicata.
Questa è la decisione del collegio del Tribunale di Potenza presieduto da Aldo Gubitosi.
Al centro dell’indagine c’era un progetto di ricerca sulle risorse idriche in Val d’Agri finanziato dalla Regione con fondi europei.
I soldi erano destinati in gran parte al lavoro di alcuni ricercatori che però sarebbero stati costretti a “restituire” parte dei loro compensi alla professoressa (all’epoca dei fatti in totale erano circa cento milioni di lire).
Secondo l’accusa si sarebbe trattato di “un vero e proprio taglieggiamento” nei confronti dei ricercatori, sfruttando le loro aspirazioni a una carriera accademica.
“Mettetevi nelle condizioni di questi giovanissimi geologi” ha chiesto il pm rivolto ai giudici del collegio.
“Si erano appena laureati, si affaccia la possibilità di iniziare una carriera accademica e sono costretti a subire un’imposizione del genere. È chiaro che la possibilità di un eventuale prosieguo della ricerca e dell’avvio di una carriera universitaria sarebbero state precluse se si fossero opposti alla richiesta monetaria della professoressa”.
I giudici quindi non hanno creduto alla difesa della Colella, per cui quei soldi sarebbero serviti per il prosieguo del progetto e per il compenso “in nero” percepito da altri docenti “aggregati” nella ricerca.
La professoressa si era difesa in aula spiegando di non essersi impossessata del denaro, indicando i nomi dei colleghi coinvolti a cui avrebbe versato gran parte del denaro per la loro collaborazione.
Ma l’unico tra questi ancora in vita l’ha smentita dichiarando di aver collaborato per un esclusivo “interesse scientifico”.
Per questo il pm ha parlato di una “emerita montagna di baggianate e di scuse incredibili”, come quando la professoressa ha sostenuto che le ricevute per le spese del prosieguo del progetto di ricerca (sostenute proprio con i soldi versati “volontariamente” dai ricercatori) fossero sparite in maniera misteriosa durante il trasloco del suo ufficio all’interno dell’università.
Il Tribunale ha inoltre condannato la docente Unibas anche per essersi appropriata di un gommone dell’ateneo che nel 2004 venne sequestrato in un rimessaggio di Carovigno.