Stabilimento Stellantis di Melfi: “a sostegno dei lavoratori si faccia una forte riduzione dell’orario di lavoro a parità di salario”. La proposta

Riceviamo e pubblichiamo il Comunicato stampa del Partito della Rifondazione comunista di Basilicata.

Nel 2023 si sono perduti oltre 2000 posti di lavoro.

È stata smantellata una linea di montaggio.

Sono aumentati i ritmi di lavoro quando si lavora, è stato attuato il principio dell’abbattimento dei tempi non a valore aggiunto, sono diminuiti i tempi delle pause fino al punto che spesso non si riesce ad andare a gabinetto.

È in atto la pratica del lavoro a chiamata, si viene chiamati la sera per andare a lavorare il giorno dopo.

Sono state imposte le trasferte a Pomigliano fino a gennaio con il malcelato scopo di indurre lavoratrici e lavoratori all’autolicenziamento.

È da oltre un decennio che si va avanti a contratti di solidarietà e cassa integrazione con pesanti perdite salariali.

Insomma, per lavoratrici e lavoratori il regno dell’incertezza, sfruttamento puro e semplice e consistente perdita mensile di salario.

Nei giorni scorsi Stellantis ha annunciato di distribuire a lavoratrici e lavoratori un premio di produzione per il 2023 di poco più di 2000 euro a cui vanno detratte le tasse a fronte di utili aumentati dell’ 11% rispetto all’anno precedente per un totale di 18,6 miliardi di euro.

Gli affari per gli azionisti di Stellantis vanno a gonfie vele e chi se ne giova di più è l’attuale capo della famiglia Agnelli John Elkan presidente del gruppo Stellantis e detentore, con oltre il 15% della più importante quota di azioni.

Il compenso per l’amministratore delegato Tavares per il 2023 è stato di 23,5 milioni di euro, quello di Elkan in quanto presidente poco meno di 5 milioni di euro a cui va aggiunto il dividendo per le azioni possedute.

Come si vede differenze di reddito stellari tra lavoratori e padroni.

Le scelte produttive e di mercato di Stellantis sono chiarissime per chi le vuole vedere.

Prodotti di alta gamma per clientela facoltosa e sempre più produzioni all’estero, Polonia, Serbia ecc. a cui si è aggiunta l’Algeria ed ultimamente il Marocco.

Oltre la metà degli italiani non può permettersi di comprare un’auto elettrica perché vive di redditi bassi.

In Italia si vendono circa 1.400.000 auto all’anno mentre ne vengono prodotte circa 400.000.

L’Italia che era la seconda produttrice di auto in Europa ora è la decima sorpassata anche da piccole nazioni.

I governi, sia di centro destra che di centro sinistra, portano la responsabilità di questa realtà.

Hanno sostenuto con grandi risorse finanziarie la FIAT senza mai chiedere tutela per la produzione e per i posti di lavoro in Italia.

Gli Agnelli, FIAT SATA FCA ora Stellantis hanno saputo fare i loro interessi fino a raggiungere nel 2023 un utile del 11%, il più alto tra i produttori di auto nel mondo.

I sindacati, a parte la FIOM dei tempi migliori, non sono stati capaci di tutelare gli interessi delle lavoratrici e dei lavoratori.

Ora che la prospettiva, annunciata a più riprese da Stellantis, è di ulteriore pesante riduzione degli occupati con anche chiusura di impianti in Italia e che a San Nicola di Melfi si prospetta la perdita, tra diretti ed indotto di ulteriori 6000 posti di lavoro, con conseguenze pesanti per i redditi e l’economia della regione, va costruita la forza necessaria ad impedire questa sciagura.

Ci vuole una politica industriale del governo.

Per un piano per la mobilità pubblica e privata che riduca drasticamente l’inquinamento da idrocarburi, che orienti la riconversione degli impianti produttivi, per il nostro territorio anche con produzioni più vicine all’economia del sud.

Basta soldi a Stellantis, si entri nel suo capitale per garantire la produzione di auto in Italia.

Il fallimento della decisione di dare l’Ilva di Taranto ai privati sia da lezione.

Si faccia una forte riduzione dell’orario di lavoro a parità di salario.

Vanno uniti i conflitti in essere compreso quello degli agricoltori per una nuova stagione di lotta dei ceti popolari per conquistare di nuovo i diritti che 3 decenni di neoliberismo bipartisan ci hanno tolto”.