DA POTENZA IL GRIDO DISPERATO DI UN UOMO CHE NON RIESCE A TROVARE LAVORO: QUESTA LA SUA STORIA

Raccogliamo e pubblichiamo lo sfogo di un 40enne di Potenza (che da oltre due anni è sottoposto alla misura di prevenzione con obbligo di soggiorno nel comune di residenza), che per cause di forza maggiore non riesce più ad inserirsi nel mondo del lavoro.

Di seguito riportiamo la nota che il cittadino ha inviato alla nostra redazione:

“Ho 40 anni, da oltre 2 anni sono sottoposto alla misura di prevenzione con obbligo di soggiorno nel comune di residenza che è Potenza.

Sin da subito, prima che il procedimento diventasse definitivo (ancora oggi non lo è perché pende un ricorso in Cassazione) mi è stata revocata la patente e mi è stato imposto immediatamente di chiudere l’attività artigianale che gestivo.

Un decreto applicativo anomalo richiesto dalla Questura di Potenza in base a delle CNR (comunicazione di notizie di reato) datate 2004, 2005, 2006, ove in molti casi è giunta sentenza di assoluzione con formula piena, ma nessuno ha provveduto a cancellare tutto ciò, un vero e proprio gonfiare di pagine al fine di trarre in inganno il tribunale, ottenendo l’applicazione.

Fin qui tutto sembrerebbe normale, visto come vanno le cose in Italia, ma il bello arriva ora:

Sebbene il principale obbligo imposto della misura è quello di darsi ad un lavoro lecito, ho presentato in data 26 Gennaio 2017 un’istanza al giudice comunicando che un’azienda era disposta ad assumermi a tempo indeterminato a partire dal 13 Febbraio 2017.

Dopo settimane di assoluto silenzio il giorno 18 Febbraio 2017, l’amministratore delegato di questa azienda mi contatta telefonicamente e mi dice di essere stato convocato dalla caserma della locale stazione dei carabinieri, invitato a riferire e consegnare documentazione inerente alla mia assunzione, così creando un pregiudizio nei miei confronti.

Tutto ciò non fa venir meno il contratto di assunzione stipulato, vista la rarità della mia abilitazione tecnica, così concedendomi ancora altri 15 giorni di tempo per potermi recare a lavoro, nella speranza che il tribunale si pronunciasse sulla autorizzazione.

Purtroppo così non è stato, il tribunale ha ritenuto opportuno fissare un’udienza con tutta calma nei primi 15 giorni di aprile 2017, dimenticando però che l’azienda aveva necessità di un tecnico abilitato sin da subito, avendomi già concesso circa 30 giorni di tempo per sbrigare tutte le mie burocrazie.

Morale della favola oggi mi trovo senza lavoro, con delle misure applicate senza nessuna attualità, soprattutto con delle spese legali da affrontare nell’udienza che si terrà nei primi 15 giorni di aprile, dove purtroppo dovrò comunicare che lavoro non ce l’ho più.

Alla luce di quanto dichiarato mi chiedo: possibile che non esiste verso di venir fuori da questo abisso?

Siamo sicuri che il socialmente pericoloso sono io?

Soprattutto mi chiedo se davvero ne valga la pena andare avanti, perché oggi la giustizia ha mangiato persino la mia dignità”.

(Foto web)