AL SAN CARLO DI POTENZA QUESTA MAMMA RACCONTA COMMOSSA IL DRAMMA DELLA MALATTIA DELLA SUA BAMBINA

Si è tenuto ieri pomeriggio a partire dalle ore 15:30, nell’Auditorium dell’ospedale San Carlo a Potenza, il convegno regionale su “Famiglia e malattia”.

L’iniziativa è della Conferenza episcopale di Basilicata, che attraverso le due Consulte Salute e Famiglia e con la collaborazione dell’Azienda Ospedaliera San Carlo, ha inteso promuovere un evento sul tema.

La famiglia è apparsa da sempre come il luogo spontaneamente delegato alla cura e perciò continua ad assumere un ruolo indispensabile nella vita dei malati.

Moderato dalla dott.ssa Angela Pia Bellettieri, dirigente medico della Direzione sanitaria del San Carlo, il convegno si è aperto con i saluti del Direttore Generale del San Carlo Rocco Maglietta che ha dichiarato:

“Oggi l’impatto che si ha sulla malattia è leggermente più complesso, così come la partecipazione della famiglia: più la malattia è importante e più le problematiche diventano complesse.

Nella nostra organizzazione uno dei temi più importanti è l’umanizzazione delle cure, per cercare di stabilire con il paziente un rapporto sempre più attento, sapendo che in quel momento c’è una relazione tra due persone che vivono momenti diversi della situazione: il sanitario, con la sua attività, e il paziente, in una situazione drammatica; nessuno vuole venire in ospedale per risolvere i suoi problemi.

Di fatto, non c’è più la famiglia di una volta.

Oggi le famiglie sono meno numerose e le persone che hanno bisogno di una certa attenzione, sono sole.

Per questo dobbiamo organizzare l’assistenza domiciliare integrata, trovare posti dove accogliere tutte le persone anziane che restano sole quando la mattina usciamo.

Per questo, anche la sanità si deve interrogare sul cambiamento della società.

L’uomo deve dare ancora di più rispetto a quello che da la medicina”.

A seguire, i saluti del Sindaco Dario De Luca che ha precisato:

“Questo convegno parla della relazione tra famiglia e malattia.

La famiglia è la cellula fondamentale della nostra società e sta garantendo tenuta sociale.

Tutti i ragazzi senza lavoro, i disoccupati, coloro che hanno perso il lavoro, sono riusciti ad ammortizzare all’interno delle loro famiglie questo stato di grande disagio.

La famiglia è la forza della nostra società ma è l’istituzione umana più in crisi di tutte le altre.

Si disgrega con una facilità esagerata rispetto a ciò che avveniva 20-30 anni fa. Questo si riflette sulle condizioni dell’intera comunità.

Poco fa, sono passato di fianco al Padiglione E e ho visto una signora che accompagnava il padre (probabilmente dimesso).

Mi sono commosso, ho ricordato le volte che ho accompagnato io i miei genitori uscendo da quello stesso Padiglione.

Lo sguardo perso del padre, perchè la malattia fa perdere i punti di riferimento,e la figlia che lo accompagnava.

E’ questa la famiglia alla quale noi facciamo riferimento: la famiglia nella quale i figli si occupano dei genitori”.

Don Mario Galasso, cappellano dell’ospedale San Carlo e direttore regionale per la Pastorale della salute della Ceb, ringraziando i presenti ha dichiarato:

“Il convegno rappresenta un evento rilevante del nostro panorama sanitario.

E’ indispensabile il ruolo della famiglia nei malati. La comunità cristiana è chiamata ad essere attenta, vicina e sensibile, risvegliando le coscienze, accompagnando le famiglie provate da gravi situazioni di malattie.

Nonostante la famiglia sia andata incontro, negli ultimi decenni, a profonde trasformazioni, che ne hanno messo a dura prova la solidità e la stabilità, essa rimane un’insostituibile scuola di umanità, culla della vita, luogo di solidarietà e di sostegno tra generazioni”.

Le parole di Don Mario sono state accompagnate da quelle di  mons. Salvatore Ligorio, presidente della Conferenza episcopale di Basilicata:

“La famiglia è il primo ospedale perchè quando accade questa visita della sofferenza e della malattia, è la famiglia stessa a portare sostegno.

In queste occasione si rafforzano i vincoli della famiglia.

Di fronte a questo tema la comunità deve saper dare risposte umane e, per chi crede, cristiane”.

A seguire la relazione del dott. Marcello Ricciuti, direttore dell’Hospice dell’ospedale San Carlo, che da sempre sta a contatto con la malattia e le famiglie:

“Ho pensato di preparare in maniera diversa questa relazione e mi sono fatto ispirare dalla mostra di dipinti (presentata nel 2005 al meeting di Rimini) che riguardano il tema della malattia e della cura.

La mostra fu ospitata in questo ospedale l’anno successivo.

Ho così pensato di parlare del tema della malattia in rapporto della famiglia, seguendo l’itinerario di questa mostra”.

Il Dottore infatti ha presentato una sequenza di immagini e di dipinti della mostra dal titolo: “Curare e guarire. Occhio artistico ed occhio clinico”.

In merito, il Dottore si è poi calato nel vissuto di un’esperienza di malattia e di famiglia, attraverso la storia di Anna, una giovane donna e madre che si è ammalata di cancro lottando per sei anni fino a spegnersi all’Hospice del San Carlo, 11 mesi fa.

Sua sorella Claudia ha raccontato come lei e la sua famiglia hanno vissuto la malattia di Anna:

“Era il 18 Aprile del 2011 quando una mattina come le altre mia sorella andò a fare una ecografia di controllo.

Era diventata madre da 9 mesi ed era in un momento bellissimo della sua vita e come tutte le madri faceva progetti e immaginava il futuro di suo figlio.

Il risultato dell’ecografia al seno di quella mattina fu inequivocabile e di lì a poche ore anche la diagnosi dei medici.

Le restavano 3 mesi di vita se le terapie non avessero funzionato.

Oltre alla sua vita, cambiò anche la nostra. Ci siamo chiesti perchè era successo proprio a lei, ma non ci sono risposte a queste domande.

Anna ha affrontato la sua malattia con accettazione cercando risposte in Dio e nella Fede, non lasciando mai il Rosario fino all’ora della sua morte.

Lei sorrideva più di noi e ci dava forza.

Anna è morta all’Hospice ma la sua morte non è stata drammatica. Nei 10 giorni che ha trascorso lì era serena, continuava a dirci di pregare. Se n’è andata infatti tra le preghiere di mia madre e di mio padre.

In lei non c’era nessuna disperazione, e in noi è rimasto il ricordo del suo amore”.

Dopo il commovente racconto di Claudia, ecco quello dei coniugi Lombardi-Rosa, che hanno portato la loro personale testimonianza, avendo vissuto in prima persona il dramma della malattia della loro bambina.

I coniugi Tripaldi-Lepore coordinatori della Pastorale per le famiglie della Cei, li hanno così introdotti:

“La famiglia si scontra inevitabilmente con la malattia e con il dolore.

Non siamo così potenti di impedire a noi stessi e alle persone che amiamo di soffrire.

Nessuno può sostituirsi a chi soffre che è solo nella malattia e nel suo dolore. Si chiedono compagni di viaggio che sostengano i passi indeboliti della famiglia che lotta con la malattia e il dolore.

Si chiedono operatori capaci di accompagnare la perdita di certezze e farsi così compagni di viaggio di chi è nella notte.

Accompagnamento che si fa ascolto.

Il dolore può risvegliare in noi risorse che non pensavamo di avere, ci fa maturare, ci rende più umani e scava gallerie di bontà dentro noi stessi.

Con questo spirito lasciamo la parola agli amici Antonio e Rosa con la testimonianza della loro vita”.

I coniugi Lombardi-Rosa raccontano il loro triste vissuto. A parlare per primo è Antonio che racconta:

“Noi facciamo parte dell’Associazione Donatori Midollo Osseo e siamo qui perchè abbiamo vissuto un’esperienza di malattia, quella di nostra figlia Francesca che si è ammalata nel Giugno 1996 di Leucemia.

La sua malattia è diventata ovviamente quella della famiglia.

Ha subito un trapianto, ha trovato un donatore di midollo osseo, ma non è andato bene e Francesca è morta il 16 Marzo del 1998.

Con la malattia cambia tutto, i rapporti in famiglia, quelli con gli amici e tutti i programmi.

Noi con la Grazia di Cristo non ci siamo fatti seppellire dal dolore e lo abbiamo reso produttivo.

Abbiamo fondato una società di volontariato che si chiama “Domos” per dare speranza di vita a tanti bambini e tante persone malate di Leucemia”.

A continuare il racconto è poi sua moglie Rosa, che con la commozione di madre ha precisato:

“Nel momento in cui siamo entrati in ospedale ci siamo sentiti parte di una grande famiglia.

Quello che da mamma ho sperimentato è stata la vicinanza e la presenza di Dio accanto a noi, in ogni momento di questa esperienza dolorosa.

Non mi sono mai sentita abbandonata dal Signore.

L’esperienza della malattia è sconvolgente, dove noi tocchiamo con mano la nostra impotenza ma non avete idea di quanta forza ci danno i bambini ammalati.

Per noi la malattia di nostra figlia è stata un grande momento di crescita sul piano personale e su quello sociale, perchè ci siamo aperti alla sofferenza di nostra figlia e delle altre famiglie.

Quando si ha un bambino che sta male si cerca sempre di proteggerlo, di non piangere mai davanti a lui, di non far sentire mai l’angoscia e la paura. Io non ho mai pianto davanti a mia figlia però, una notte lei stava malissimo, aveva la febbre molto alta.

Io ero sola in ospedale e ho pensato veramente di perderla quella notte e pensavo che lei non si rendesse conto e non si accorgesse delle mie lacrime, perchè delirava avendo la febbre a 41.5.

Lei però si è ripresa quella notte e il mattino dopo mi ha detto:

“Mamma mi devi fare una promessa. La prossima volta che succede qualcosa di grave tu non devi piangere”.

Queste sono parole di una bambina di 6 anni, sono le parole di Dio, è il Signore che ti dice che devi avere la forza di non piangere e di sopportare la malattia e anche la morte. Non è semplice.

Io l’ho vissuta con tanto dolore, sono passati 20 anni dalla morte di Francesca ma lei è viva, è sempre presente, non c’è giorno in cui non pensi a lei e a quello che mi ha dato.

Durante la malattia di Francesca abbiamo avuto un’altra figlia per cercare di darle l’opportunità di fare un trapianto di midollo osseo poichè i suoi due fratelli non erano compatibili.

Abbiamo quindi avuto una quarta figlia che l’ha conosciuta perchè Francesca quando è morta aveva 9 mesi ma di lei ovviamente non ha nessun ricordo, eppure lei ha sempre sentito la presenza di questa sorella anche senza ricordarla

Chiara, così si chiama mia figlia, ha sempre il sorriso sulle labbra e questa è una cosa di cui vado orgogliosa, perchè noi siamo riusciti come famiglia (e non è stato facile) a non far sentire la tristezza e la disperazione della morte”.

Un racconto che ha commosso tutti: Fede, Famiglia e malattia in un’unica esperienza di vita.

A concludere l’incontro è stato mons. Francesco Sirufo, arcivescovo di Acerenza:

“I Sacerdoti curano l’Anima e i Medici il corpo.

Questa divisione però non è mai netta, perchè altre volte sono i medici che devono servire alla cura dell’anima, così come anche i sacerdoti devono prendersi cura della persona.

Anima e corpo insieme. Ecco perchè il dolore fisico si riversa sul dolore morale e spirituale e viceversa.

Le ansie e le problematiche dello spirito si riversano inevitabilmente sul fisico, perchè l’Uomo è un tutt’uno”.

Un appuntamento molto forte che, nei racconti e nelle testimonianze di chi ha vissuto il dramma della malattia, aiuta a comprendere che anche nei momenti difficili, non si è mai soli.

Queste alcune foto dell’evento.