Potenza oggi ricorda i terribili bombardamenti che distrussero la Cattedrale, l’Ospedale e troppe vite innocenti

La Storia di Potenza non dimentica i terribili giorni dell’8 e del 9 Settembre 1943, nei quali alcuni bombardamenti aerei (non completamente richiesti da esigenze strategiche e cioè dall’intento di tagliare le comunicazioni stradali e ferroviarie che consentivano l’afflusso delle truppe tedesche alle zone dello sbarco alleato, avvenuto il 9 sulle spiagge del litorale salernitano) costarono alla città molte vittime innocenti tra la popolazione civile.

Il tutto portò alla distruzione, coi pochi obiettivi militari esistenti, di molte costruzioni civili, private e pubbliche, tra le quali l’Ospedale S. Carlo e la Cattedrale.

Secondo il resoconto dello storico Michele Stratta:

“L’8 settembre del 1943, tra le 7 e le 8 di sera, i lucani apprendono dalla radio l’annuncio dell’armistizio con gli alleati, mentre il governo Badoglio e il Re fuggono a Brindisi.

La notizia del proclama di Badoglio fa velocemente il giro di tutti i paesi della Lucania mentre la popolazione manifesta la propria gioia e i propri dubbi sul futuro, volgendo il pensiero ai tanti cari che stanno per tornare a casa.

Potenza, nei giorni 8 e 9 settembre, subisce un duro bombardamento aereo che causa alcune vittime.

La sera dell’8, infatti, un’incursione della Royal Air Force colpisce il centro cittadino, centrando Palazzo Loffredo, sede del Liceo e del Convitto Nazionale.

Il vero obiettivo era probabilmente la postazione dell’osservatorio meteorologico situata nello stesso palazzo, nonché il nucleo militare responsabile dell’avvistamento e della difesa aerea.

Anche la Cattedrale di San Gerardo e l’adiacente palazzo vescovile prendono fuoco, colpiti da bombe incendiarie.

Bombardata pure Porta Salza, mentre Rione Addone subisce danni gravissimi.

Colpito il Museo Provinciale e Rione Santa Maria che riporta danni incalcolabili. Distrutta in buona parte la grande caserma Lucania, con 25 morti.

La mattina successiva, verso le dieci, sul cielo del capoluogo appaiono massicce formazioni di quadrimotori B 17 “Fortezze Volanti” e B 24 “Liberator” appartenenti alle forze aeree americane di base in Nord Africa, le quali, in gruppi di tre, molto accostati tra loro, sganciano bombe sul Palazzo delle Scuole Elementari, in via del Popolo, dove sono di stanza le truppe della VII Armata.

Danneggiata Piazza Prefettura e l’Ospedale Civile, nel quale crollano il corpo centrale e un’ala laterale, provocando numerosi morti tra i degenti, il personale medico e infermieristico.

Dopo i quadrimotori piombano sulla città piccoli stormi di “Lightning”, cacciabombardieri americani a due code, i quali procedono a un fitto mitragliamento. Potenza è incapace di difendersi per mancanza di batterie contraeree, dato che le poche presenti, di genere mobile, erano state smantellate o, comunque, abbandonate dopo l’annuncio dell’armistizio.

Nei successivi bombardamenti che si susseguono per vari giorni viene distrutta la Caserma Santa Maria, numerose case in periferia e nelle stesse campagne, con altri morti tra la popolazione civile.

Mentre ogni struttura militare si dilegua, in città sono pochi i rappresentanti delle istituzioni che cercano di organizzare un minimo di assistenza e soccorso a quanti non hanno ancora abbandonato il capoluogo.

Il caos si impadronisce di Potenza, la corrente elettrica viene a mancare e dallo stesso carcere mandamentale, senza più guardie, i detenuti prendono la via della fuga.

La guerra continua ad avvicinarsi sempre più. I bombardamenti alleati colpiscono Pisticci, la ferrovia Foggia-Potenza, Maratea, Lauria, la stazione ferroviaria di Metaponto, Nemoli, provocando morti e feriti.
Tra lo scalo ferroviario di Grassano e quello di Grottole viene colpito un treno proveniente da Napoli e diretto a Taranto.

Due aerei americani, infatti, dopo aver sorvolato la Valle del Basento, scendono in picchiata sul convoglio mitragliandolo a bassa quota.

I passeggeri, molti dei quali rimangono feriti, sono costretti a distendersi lungo i corridoi dei vagoni fino alla fine dell’incursione.

La situazione economica è intanto peggiorata.

 I centri rurali, ma anche gli stessi capoluoghi di Potenza e Matera sono ormai chiusi in una povera autarchia alimentare. I prezzi sono alle stelle per la rarità delle merci e le difficoltà dei trasporti, la speculazione e il contrabbando imperversano.

Dopo l’armistizio, in Basilicata i militari italiani non prendono alcuna iniziativa contro i tedeschi.

Il generale comandante della VII Armata, con sede a Potenza, appena venuto a conoscenza dell’armistizio, decide di trasferire una parte del comando a Francavilla Fontana, in Puglia, dove si trovano la maggior parte delle forze mobili dell’armata, lasciando senza direttive i reparti rimasti in città e i comandi di corpo d’armata dipendenti.

Il generale Messe, allora Capo di Stato Maggiore Generale, in un rapporto successivo, fatto al Ministro della Guerra e al Capo di Stato Maggiore dell’Esercito, il 22 maggio del 1944, così descrisse la “fuga” da Potenza del comandante della VII armata: “La partenza è avvenuta a mezzanotte; nel frattempo nessuna attività operativa è stata esplicata all’infuori dell’inchiesta di autorizzazione per lo spostamento; nessuna comunicazione, nessuna presa di contatto in una forma qualsiasi con i tre comandi di corpo d’armata dipendenti.(…)

Il trasferimento precipitoso e disordinato non trovando una giustificazione tecnica lascia adito al sospetto che esso sia stato suggerito da altre preoccupazioni che non possono certo andare ad onore di un soldato”.

In questo clima di assenza del governo e dell’esercito i tedeschi in ritirata, provenienti dalla Calabria, procedendo con mezzi corazzati dalla strada di Rifreddo, dopo aver tentato di rallentare l’inseguimento alleato facendo saltare il ponte sul Basento, occupano Potenza e i principali centri della regione, ricorrendo spesso a feroci rappresaglie.

Potenza era diventato uno snodo importante per i due eserciti avversari. Il 9 settembre, infatti, gli Alleati erano sbarcati a Salerno e, prima ancora, il 3 settembre, in Calabria, procedendo verso l’interno. Le truppe tedesche cercavano in tutti i modi di ritardare ’avanzata, costituendo una linea difensiva che, partendo dalla Campania, si ricongiungeva alla Puglia, passando per la Lucania.

L’intento germanico era di mantenere le posizioni almeno fino al 30 settembre, di qui gli attacchi massicci anglo-americani, soprattutto aerei, sugli snodi importanti di tale linea difensiva e, quindi, sulla città di Potenza, importante centro di traffico ferroviario e stradale.

Le truppe tedesche, dunque, continuano a transitare in forza per tutto il territorio potentino. Nel capoluogo prendono posizione unità della 29° Divisione Panzer e reparti della Divisione Corazzata Goering le quali, dopo aver apprestato alcune opere difensive, minando le vie d’accesso, i ponti e i viadotti, requisiscono tutti i mezzi motorizzati, svaligiano i depositi del Consorzio Agrario, pur consentendo alla popolazione di prelevare dai magazzini farina, grano, legumi e fustini d’olio.

Nessuno sembra opporsi. “La città è deserta. Non si incontra un agente di Pubblica Sicurezza, non un carabiniere, soltanto tedeschi e qualche frettoloso civile. Gli spacci alimentari sono chiusi”, mentre le autorità, il prefetto e il questore, con le proprie famiglie, insieme a civili, agenti di P.S. e alti ufficiali dell’esercito, tra cui il comandante del presidio militare cittadino, sono al sicuro nel ricovero della prefettura.

Anche i carabinieri sono chiusi nella loro caserma di Via Pretoria, rigorosamente consegnati per ordine del loro comandante, mentre le rispettive famiglie vengono fatte affluire nel rifugio antiaereo dell’Arma, ricavato nelle cripte del convento delle Clarisse, sede della locale Stazione.

E’ in questo periodo che a Potenza avviene il suicidio del colonnello friulano Giovanni Faccin, sottocapo di Stato Maggiore della VII Armata. L’ufficiale, in assenza del generale comandante, era riuscito a raccogliere una trentina di soldati, sfuggiti ai rastrellamenti tedeschi, e li aveva nascosti in una galleria ferroviaria, al di sotto della villa comunale di Santa Maria, dove si erano rifugiate alcune famiglie potentine.

A questo punto si presenta all’ingresso della galleria un reparto tedesco, staccatosi da una colonna in transito, il cui comandante intima al Faccin, unico ufficiale di grado superiore rimasto in città, la resa con consegna dei militari e dell’equipaggiamento.

La vicenda non è ancora molto chiara ma pare che il colonnello italiano, dopo il colloquio con i tedeschi, si sia appartato, profondamente turbato, e si sia suicidato con un colpo di rivoltella per non obbedire all’ordine tedesco.

Potenza nel dopoguerra ne ricorderà il gesto, intitolando alla sua memoria la gradinata che da Via Due Torri porta a Via San Giovanni.

In una libreria della città, noto covo di antifascisti, intanto, viene esploso un colpo d’arma da fuoco contro un ufficiale tedesco il quale riesce però ad allontanarsi. Poco dopo la rappresaglia: due camionette germaniche si portano sul Muraglione e aprono il fuoco sui passanti, provocando una vittima. Nella notte si tenta di dar fuoco alla libreria e alla limitrofa gioielleria.

Continuano, frattanto, i bombardamenti, costringendo gran parte della popolazione a rifugiarsi in campagna, rientrando solo per qualche ora in città per accertarsi sulle condizioni delle case e per avere notizie. Non mancano, purtroppo, in questa circostanza episodi di saccheggio ai danni delle abitazioni abbandonate, mentre gli stessi magazzini militari vengono presi d’assalto e vengono asportate tutte le provviste alimentari contenute.

Quando alla fine si farà il calcolo delle vittime dei bombardamenti apparirà la cifra di ben 187 morti, di cui 118 uomini e 69 donne: 150 i civili, 37 i militari”.

Foto di centrostudisalinardi della zona di Santa Maria dopo i bombardamenti.