Potenza: alla vedova e ai figli di Salvatore risarcimento di quasi 1000000 di euro. Ecco la decisione del Tribunale.

L’amianto corre sui binari: Ferrovie dello Stato condannata al risarcimento di 1 milione di euro per la morte dell’ex dipendente potentino Salvatore Passavanti.

Il Tribunale di Roma ha condannato Rete Ferroviaria Italiana a pagare un risarcimento che sfiora il milione di euro alla vedova e ai tre figli di Salvatore Passavanti, deceduto per un adenocarcinoma polmonare.

L’operaio, nato a Tito, in provincia di Potenza, diventato negli anni capotecnico e poi dirigente, è stato per tutta la sua vita lavorativa a contatto con l’amianto e con un altro terribile cancerogeno, l’olio creosoto.

L’uomo lavorò alle dipendenze delle Ferrovie dello Stato per 30 anni, dal 1963 al 1993, anno in cui andò in pensione.

Nel 2017 purtroppo arrivò la diagnosi che non gli lasciò scampo.

Morì, infatti, 4 mesi dopo, all’età di 79 anni.

Viveva per la sua famiglia e per le Ferrovie e, in relazione a queste ultime, aveva anche scritto un libro: “Sicignano – Lagonegro. Storia di una ferrovia” pubblicato qualche giorno dopo la sua dipartita.

Era stato nominato Cavaliere della Repubblica per aver salvato una persona proprio sulla tratta ferroviaria.

La famiglia, dopo il riconoscimento della malattia professionale da parte dell’INAIL per ottenere il risarcimento di tutti i danni subiti si è rivolta all’avvocato Ezio Bonanni, presidente dell’Osservatorio Nazionale Amianto, e agli avvocati Marcello e Consuelo Mascolo.

Secondo il consulente tecnico d’ufficio sarebbe stato proprio il creosoto a determinare l’insorgenza del tumore del polmone e la morte di Passavanti.

L’azienda lasciava, infatti, che parti in legno a cui vengono fissati i binari, le traversine, una volta usurate venissero bruciate nelle stufe, non per smaltirle, ma per riscaldare gli operai sia all’esterno che all’interno dei locali.

“Quando venivano accesi questi fuochi uscivano dei fumi neri” – dice un testimone.

Accertata la sussistenza del nesso causale tra l’attività lavorativa e la patologia che ha causato il decesso del capotecnico il giudice del Lavoro del Tribunale di Roma, Valentina Cacace, ha condannato RFI spa al pagamento, in favore della famiglia di 972.594 euro.

Scrive il giudice, che sottolinea:

“Provata la nocività dell’ambiente di lavoro l’azienda non ha fornito la prova liberatoria, indicando l’impossibilità di adempiere all’obbligo di sicurezza e informativo per causa a sé non imputabile.

Il datore di lavoro, infatti, non ha provato di aver adottato alcuna misura di protezione, né gli accorgimenti di prudenza e le cautele che sarebbero state necessarie.

All’epoca dei fatti era nota la nocività della combustione dell’olio creosoto e comunque “l’azienda era tenuta a conoscere la sua pericolosità e non si era attivata in tal senso”.

Ha commentato il figlio Mauro:

“Siamo soddisfatti anche perché è stato riconosciuto un qualcosa che non è così noto, operai esposti per anni a cancerogeni, in particolare all’amianto e al creosoto.

Siamo contenti anche della tempistica con cui si è conclusa questa vicenda, abbiamo trovato una giustizia attenta e veloce”.