In occasione della Festa della Repubblica, ecco l’intervento del Prefetto di Potenza, Michele Campanaro:
“Saluto con gratitudine tutti i presenti: le autorità civili e militari, i rappresentanti delle Associazioni Combattentistiche e d’Arma, le cittadine e i cittadini.
Un saluto ai tanti Sindaci della provincia, inclusi i Primi Cittadini neo eletti qualche giorno fa, che hanno voluto dare maggior lustro a questa giornata con la loro personale presenza e con quella del proprio Gonfalone, tra cui quello della Città di Potenza insignita di due medaglie d’oro, per benemerenze risorgimentali e al merito civile per il sacrificio e l’impegno dimostrati nella fase della ricostruzione dopo il disastroso terremoto del 1980.
Consentitemi un grazie sincero ai giovani e ai giovanissimi oggi qui presenti: a quelli della Consulta provinciale degli Studenti, del Forum dei Giovani della Città di Potenza e dell’Associazione Studenti Unibas, ma anche agli allievi delle scuole primarie e secondarie provenienti da più parti della provincia.
A loro direttamente, ma in verità a tutti confido che il mio sogno è di vedere un giorno questa Piazza stracolma di giovani non in occasione di ammassamenti senza identità, ma in giornate fondamentali come quella di oggi, per testimoniare, attraverso la loro presenza, di aver ancora sete dei valori che ci hanno trasmesso le nostre Madri ed i nostri Padri Costituenti.
Questa Piazza, conosciuta come Piazza Prefettura, ricordo a me stesso che è intitolata a Mario Pagano di Brienza, tra i più grandi esponenti dell’illuminismo italiano, estensore della Costituzione della Repubblica Napoletana, in cui lui immaginò la nascita dell’Eforato, precursore dell’odierna Corte Costituzionale. Per questi ideali, Mario Pagano morì condannato dalla restaurazione borbonica.
Occasioni come quella di oggi e non altre, possono davvero onorare in questa Piazza il ricordo di Mario Pagano!
Il messaggio letto poco fa, che il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella ha indirizzato ai Prefetti, illustra con parole molto chiare i temi più salienti che è chiamato ad affrontare oggi il nostro Paese, in una fase storica delicata e cruciale sotto molteplici profili.
Siamo qui per celebrare la Fondazione della Repubblica, sulle note del “Canto degli Italiani” che hanno aperto questa cerimonia, con il gesto solenne dello srotolamento da parte degli amati Vigili del Fuoco del grande Tricolore sul Palazzo della Prefettura, simboli alti e unificanti del nostro essere comunità che ci ricordano il valore e il significato di questa giornata: il 2 giugno 1946, il popolo italiano, con un voto referendario libero e democratico, scelse la Repubblica, dando inizio a una nuova pagina di storia fondata sui principi di libertà, uguaglianza e partecipazione. Fu una scelta maturata nel cuore di un Paese ancora ferito dalla guerra e dalla dittatura.
C’è un aspetto, forse ancora più rivoluzionario, che quel giorno lascia un segno indelebile nella storia del nostro Paese e che il Presidente della Repubblica ha ricordato all’inizio del suo messaggio: per la prima volta votarono le donne, molte delle quali avevano partecipato attivamente alla Resistenza, avevano lottato da partigiane, curato feriti, scritto e diffuso parole di libertà. Quel 2 giugno 1946, milioni di donne, madri, insegnanti, contadine, professioniste, studentesse si misero in fila davanti ai seggi, per dare il proprio voto con dignità e orgoglio.
Rileggo le parole di Anna Garofalo – giornalista e suffragetta, curatrice dal settembre 1944 alla radio di Roma della rubrica “Parole di una donna”, la prima a rivolgersi ad un vasto pubblico femminile affrontando i nuovi temi dell’emancipazione – all’alba dello storico voto del 2 giugno:
«Le schede che ci arrivano a casa e ci invitano a compiere il nostro dovere hanno un’autorità silenziosa e perentoria. Le rigiriamo tra le mani e ci sembrano più preziose della tessera del pane. Stringiamo le schede come biglietti d’amore. Si vedono molti sgabelli pieghevoli infilati al braccio di donne timorose di stancarsi nelle lunghe file davanti ai seggi. E molte tasche gonfie per il pacchetto della colazione. Le conversazioni che nascono tra uomo e donna hanno un tono diverso, alla pari (…) Per la prima volta si domanda la nostra opinione. Così avessimo potuto esprimerla quando si trattava di pace e di guerra».
Non fu solo la conquista di un diritto, fu l’affermazione di un principio fondamentale: che la democrazia non deve escludere nessuno e che tutti, donne e uomini, hanno il diritto – e il dovere – di partecipare alla vita democratica della nuova Italia. Voglio dire che la Repubblica nacque davvero sotto i migliori auspici: dal dialogo aperto, dalla partecipazione di tutti, dalla scelta consapevole di una volontà di cambiamento e di speranza.
Qui in Basilicata, pur vincendo, come nelle altre regioni del Sud, la Monarchia, oltre il 40% degli elettori si espresse in favore della Repubblica, ponendo la nostra regione fra quelle meridionali più repubblicane, seconda solo all’Abruzzo. I risultati elettorali verbalizzati dalla Corte di Appello di Potenza, “[…] dopo un laborioso lavoro di parecchi giorni e anche di alcune notti”, dicono che, nella sola provincia di Potenza, la percentuale dei voti favorevoli alla Repubblica (75.663) raggiunse quasi il 40%, mentre 114.161 voti (pari al 60,1%) andarono alla Monarchia.
All’ Assemblea Costituente, per cui pure si votò nello stesso giorno, risultarono eletti in Basilicata per l’Unione Democratica Nazionale – U.D.N. Francesco Saverio Nitti di Melfi, al quale subentrò, dopo l’opzione per il collegio napoletano, Vito Reale di Viggiano; per il Partito Socialista Aldo Enzo Pignatari di Potenza; per il Partito Comunista Luigi De Filpo di Viggianello; per la Democrazia Cristiana (la più suffragata, con il 31,99% di preferenze nel solo capoluogo di regione) Mario Zotta di Pietragalla ed un giovanissimo Emilio Colombo di Potenza, all’epoca ventiseienne.
Proverò a sintetizzare in due parole il senso della partecipazione delle italiane e degli italiani, come delle lucane e dei lucani, al voto del 2 giugno 1946: scelta e inclusione.
La scelta. Il 2 giugno 1946 fu un passaggio storico non solo per ciò che si decise, ma per come si decise: attraverso la partecipazione, espressa con il voto. Fu una scelta collettiva, fatta in un Paese profondamente ferito, ma con il desiderio di guardare avanti, con una nuova visione di società. Viviamo anche oggi un tempo in cui le sfide sono tante: crisi globali, nuove guerre, incertezze che toccano da vicino anche le nostre comunità.
In un contesto così complesso, il valore della scelta torna ad essere centrale. Anche oggi, ogni giorno, tutti noi siamo chiamati a scegliere, come cittadini, come comunità, come Istituzioni. La facoltà di scelta non è un atto episodico, limitato all’espressione del voto, che pure resta un dovere civico da onorare sempre; è una responsabilità quotidiana, che riguarda il nostro modo di vivere nella società, di partecipare, di difendere i valori che ci uniscono.
L’inclusione, che non esprime solo un concetto etico, è essa stessa condizione per la coesione sociale, per la sicurezza, per il progresso autentico di una comunità. Inclusione significa, quindi, offrire uguali opportunità a chi cresce in contesti di fragilità, a chi arriva da altri Paesi con il desiderio di partecipare allo sviluppo di una comunità, a chi convive con una disabilità, ai giovani che cercano spazio e fiducia come agli anziani che meritano rispetto e vicinanza. Celebrare la Repubblica significa allora rinnovare un patto, per fare in modo che nessuno resti ai margini.
Perché la Repubblica vive nei servizi che garantiscono uguaglianza, nell’istruzione che apre le menti, nella sanità che tutela ogni vita, nel lavoro che dà dignità, nella legalità che protegge i più deboli.
La Repubblica vive, si rafforza, si rigenera, solo se ciascuno di noi decide di stare dalla parte dei diritti, dalla parte della dignità umana, in una parola, dalla parte della Costituzione. Ecco, la nostra Costituzione. Attuarla significa aprire spazi di cittadinanza reale, nella consapevolezza che essa è una promessa da compiere ogni giorno, un cantiere aperto che ci deve impegnare con quotidianità.
La cultura è parte decisiva di questo percorso d’impegno. Ho il grande piacere di conoscere il Presidente dell’Associazione “Letti di sera”, Paolo Albano, provocatore di cambiamento, come a lui piace definirsi. Il suo ultimo libro “…da quanto cielo si riesce a vedere” mi ha offerto l’occasione per una riflessione che vorrei condividere qui: la cittadinanza non è soltanto appartenenza formale a una comunità, ma è soprattutto un esercizio culturale quotidiano.
Nella cultura affondano le radici della partecipazione consapevole: leggere, conoscere, alimentare lo spirito critico, custodire la memoria e tramandare valori comuni sono gesti che formano cittadini liberi e responsabili e rafforzano la democrazia. In questi gesti, lontani dai riflettori, prende forma un umanesimo discreto ma tenace, capace di restituire – sostiene Paolo Albano – valore alla persona, al senso di legame che tiene insieme una collettività.
In queste trame sottili, oggi più che mai, possiamo ritrovare l’essenza della nostra Repubblica. Un “umanesimo costituzionale”, potremmo dire, che non si rifugia in principi astratti, ma che si realizza attraverso il confronto, il dialogo, la cultura. Ogni volta che scegliamo il dialogo invece dello scontro, la responsabilità invece dell’indifferenza, l’onestà invece del vantaggio personale, stiamo dando forma concreta a quell’ “umanesimo costituzionale”. E vale anche al contrario: ogni volta che chiudiamo gli occhi davanti a un’ingiustizia, ogni volta che tolleriamo la discriminazione, ogni volta che smettiamo di credere nel bene comune, stiamo indebolendo la nostra Repubblica.
Vedete. La democrazia repubblicana è un bene fragile, richiede molta cura. Non bastano le celebrazioni, né tantomeno le parole vuote. Serve impegno e sacrificio. Oggi, quindi, non celebriamo solo la scelta espressa con un voto di settantanove anni fa, perché una Repubblica non nasce una volta sola. Nasce giorno per giorno, ogni volta che si sceglie legalità, giustizia, uguaglianza.
Concludo tornando ai giovani, da cui sono partito. Ai giovani chiedo di ricordare che tutte le conquiste di oggi sono state possibili grazie al sacrificio di sangue delle donne e degli uomini che hanno fatto la Resistenza. E, grazie alla Repubblica e alla sua Costituzione nate dalla Resistenza, quelle conquiste sono state poi estese a tutti, senza eccezioni.
Continuiamo quindi a raccontare le storie e il coraggio di chi non si piegò al regime, di chi seppe resistere, per la costruzione di quell’Italia democratica e pacificata che abbiamo ereditato e che dobbiamo ogni giorno amare e preservare. Di più. Il senso dell’origine della nuova Italia, nata dalle ceneri del dopoguerra, va cercato in radici anche più profonde, ramificate nell’altra grande avventura di democrazia, libertà e unità che è stata il Risorgimento, di cui – come ricordato – Potenza è Citta benemerita insignita di medaglia d’oro.
Cari ragazzi, fare oggi memoria del Risorgimento, della Resistenza, della lotta di Liberazione, pagine decisive della nostra Storia consacrate nella nascita della Repubblica e scritte in quella “Bibbia civile” che è la Carta Costituzionale, significa sentirci tutti uniti attorno al nostro Tricolore, orgogliosamente disteso quest’oggi sulla facciata del Palazzo della Prefettura.
Viva la Repubblica, viva la Costituzione, viva l’Italia!”.