“VACANZE A SCROCCO A MARATEA? TUTTO FALSO!” IL DIRETTORE DELLA LUCANA FILM COMMISSION ROMPE IL SILENZIO

A seguito delle accuse mosse nei giorni scorsi a Paride Leporace (circa la notizia di indagini a suo carico per un soggiorno gratis che avrebbe sfruttato insieme alla famiglia a Maratea), il direttore della Lucana Film Commission si difende e spiega:

“A tutti coloro che mi conoscono personalmente per le mie attività pubbliche e private, a coloro che hanno incrociato la mia firma in calce ad articoli nei giornali che ho diretto, a coloro che mi hanno odiato per una notizia inesatta o mal titolata, a chi ha letto il mio nome in queste ore sui media di Basilicata e su un sito calabrese apprendendo il fatto che io sia indagato per truffa sento il dovere di rivolgermi per spiegare testi e contesti di un processo al momento tutto mediatico.

Non ho ricevuto nessun avviso al mio domicilio che ho sempre ossequiosamente comunicato per ricevere le molte carte giudiziarie che hanno riguardato la mia attività giornalistica. Tutte le presunte verità, postverità, commenti perfidi e rancorosi, accertate calunnie e diffamazioni le ho apprese da media e giornali.

Da oltre tre settimane dalla pubblicazione del primo articolo che annunciava a titoli grandi un’indagine che riguardava anche me ho richiesto tramite un avvocato un certificato che attesti i presunti reati per cui risulterei indagato.

Non ho da scomodare la presunzione d’innocenza in questo momento. Aspetto e misuro i tempi della Giustizia per capire e apprendere quando sarò chiamato a spiegare le mie condotte e a potermi difendere con le garanzie che il Diritto concede ad ognuno.

Tanto premesso, mi trovo costretto a scriverne, pur non avendo carte. Poiché molto è stato osato, sono costretto ad osare anch’io cercando di stare ai fatti giudiziari che sono rimbalzati ai miei occhi da cronache a senso unico e titoli che per antico malcostume mai hanno conosciuto il modo verbale del condizionale.

Ho evitato di ricorrere alla mia esperienza giornalistica per acquisire le carte giudiziarie in forma non dovuta per evitare ipotesi di ulteriori reati e non ostacolare l’accertamento dei fatti contestati.

Tutta la questione ruota attorno al Festival del cinema di Maratea.

 Manifestazione cui partecipo anche come presentatore (non ricevendo alcun compenso) e che da tre edizioni m’impegna attivamente a fianco dell’associazione che la promuove.

In quelle giornate del 2015, mia moglie che era direttore del Quotidiano della Basilicata, come altri suoi colleghi fu invitata per coprire al meglio l’avvenimento.

Cosa che organizzò, come è facilmente riscontrabile dall’archivio del giornale. Come ha fatto in centinaia di occasioni. Insieme ai nostri figli quindi, nell’ambito delle diverse funzioni, fummo dislocati all’hotel Santa Venere per volere e cortesia dell’organizzazione del Festival.

A futura memoria dei professionisti della  polemica politica che su cronache giornalistiche hanno imbastito ordalie inquisitrici mi vedo costretto ad informare che la Lucana Film Commission sotto la mia direzione assegna un contributo fisso per importo a tutti i festival storici cinematografici senza alcuna trattativa e con pagamento dopo accurata rendicontazione vagliata da diversi uffici.

Fu in questo contesto e per mia sfortuna che il signor Musacchio, che ho difficoltà a riconoscere per strada, venne fotografato a bordo piscina del Santa Venere da mia moglie. La cronaca mondana estiva non le fa difetto e la foto adamitica finì a illustrare le due pagine dedicate al Festival ogni giorno. Il signor Musacchio, non ne capisco il motivo, ma di tanto ardire ebbe a lamentarsene al telefono con un dipendente regionale in un soliloquio in cui si lamentava di scrocconi che albergavano a sbafo. Ripeto di non aver carte ufficiali. Non mi risulta il signor Musacchio essere proprietario dell’hotel e non capisco i motivi del suo monologo. Comprendo che un magistrato accerti se ci sia un’ipotesi di reato e che apra un fascicolo disponendo indagini a quanto pare molto accurate. Più difficile ricostruire all’uomo della strada e a quello del Palazzo che questa vicenda è generata da un altro fascicolo che contempla presunti reati più gravi come quelli dell’ex Eipli che evidentemente in nessun modo mi riguardano.

Sono del mestiere e so come funziona il gioco.

In una grande inchiesta giudiziaria i  fascicoli arrivano alle redazioni da chi ne ha diritto a possederli per motivi processuali. La posizione a volte poco interessa. Conta la notorietà dell’indagato e molto anche le beghe personali che esso ha con la fonte o il giornalista .

Di concerto con l’avvocato avevo scelto la strada del silenzio fino a questo momento. Anche per coerenza con la  mia attività giornalistica. In verità, sono sempre stato fedele ad una cultura garantistica. Da direttore di giornale ho sempre suggerito ai miei cronisti giudiziari di sostituire per un attimo il loro nome al posto di chi finiva nel giornale. Ho sempre avuto buona memoria, e a distanza di anni cercavo di riparare in egual misura il titolo assolutorio con quello che ne aveva aperto la vicenda con una certa evidenza. Ho spesso contribuito a recuperare immagine e onorabilità di innocenti accusati dei crimini più odiosi. Ho sempre praticato giornalismo terzo non adagiandomi passivamente dal lato dell’accusa tenendo vivo lo sguardo alla parte del torto. Non sono esente comunque da colpe attribuibili al processo mediatico.

Ho deciso quindi di rompere il silenzio memore di una citazione di “Don Chisciotte” fatta da Leonardo Sciascia. Quella sul delirio e le cose dell’altro mondo. Ma Cervantes avverte che quando dalle cose che sembrano dell’altro mondo vengono dei ragli, sono di questo mondo. E molto che ho letto sul mio caso era tutto un ragliare, un rabbioso ragliare di questo nostro mondo in cui più non si analizzano  i fatti e non si discutono le opinioni. In quello che ho letto a mio riguardo ho trovato qualcosa che è molto attuale nel nostro mondo: ed è la menzogna, la menzognera diffamazione e la calunnia, la fredda mascalzonata.

La più eclatante è quella del sito calabrese “Iacchite” che riprendendo un’interrogazione del consigliere regionale pentastellato lucano Perrino aggiunge all’intercettazione del signor Musacchio senza virgolette il riferimento inventato al ricevimento da parte mia di “Una bustarella”. Una follia.  Se “Iacchitè” ha documentazione in tal senso non posso che apprezzare la dovizia di fonte. Ma poichè è impossibile e si tratta di ragli in libertà (a meno che Musacchio non abbia detto questo nel qual caso aggiungerò denuncia anche nei suoi confronti), querelerò gli eventuali professionisti della diffamazione. So bene che essi sono nullatenenti neanche provvedendo agli alimenti dei loro figli, ma per questione di principio andrò avanti in questa azione chiedendo un risarcimento simbolico di cento euro da devolvere a favore dell’associazione “La terra di Piero”.

Non sono infallibile ma in questa nota a futura Memoria sento di aver detto tutte le verità che conosco. A quella politica che specula sul mio caso ho poco da dire. Nessuno ha mai fatto assicurazioni sulla mia persona  a mia insaputa e invito le magistrature di ogni tipo a verificare spese e conti della fondazione che dirigo. Se un sindaco è difeso dalla sua parte politica per molti avvisi di garanzia ricevuti capisco poco il giustizialismo nei confronti di un indagato quale probabilmente sono. A chi doveva vendicare macchia e penna dei propri giornali adoperando fonti bugiarde di provincia spero che sia in pace con la propria coscienza. Io lo sono e lo sarò davanti ai magistrati quando riterranno opportuno ascoltarmi su ogni fatto e circostanza.

A chi avuto la pazienza di leggere continuo a ripetere: “Non temo niente e non mi pento di niente, non ho materia di cui pentirmi e non so di che cosa mi debba pentire”.