MINACCE ED ESTORSIONI PER LA SICUREZZA NEI LOCALI DI POTENZA E PROVINCIA: 12 PERSONE A PROCESSO

E’ stato fissato il processo per 12 persone che, in alcune discoteche di Potenza e provincia, avrebbero imposto il proprio servizio ai titolari dei locali interessati.

E’ quanto si legge sulla gazzetta di Basilicata di oggi che spiega nel dettaglio la situazione:

“A giudizio tutti gli imputati e per tutte le accuse come formulate dalla Procura.

Il Giudice per l’Udienza preliminare del Tribunale di Potenza, Michela Tiziana Petrocelli, ha fissato il 15 gennaio prossimo come data di avvio del processo sui «buttafuori» nei locali di Potenza e su una connessa attività di spaccio, oltre ad alcuni reati minori e collaterali, che vede alla sbarra 12 persone.

Invano i legali difensori hanno cercato non tanto di opporsi all’approfondimento dibattimentale ma alla formalizzazione, tra le varie accuse, anche delle aggravanti di tipo mafioso per Alessandro Scavone, Michele Scavone, Pasquale Ciciriello, Ionut Luchian e Donato Diterlizzo, gli unici, del resto, a cui sono riferite le contestazioni per i tentativi di imporre la guardiania a pubblici esercizi.

Per il resto, va detto, si tratta di sole contestazioni relative a un favoreggiamento per alcune dichiarazioni, presunte intestazioni fittizie di beni ritenuti di proprietà dei due Scavone (bar in cui i due lavoravano) ma intestati ad altri, o, da ultimo, fittizie attestazioni di interesse all’assunzione finalizzate ad eludere le disposizioni di sorveglianza.

Senza voler tralasciare nulla, il «corpo», del processo, però è tutto nella prima parte: le accuse emerse nelle indagini condotte dal pm Francesco Basentini riguardano minacce a gestori di locali pubblici e titolari di agenzie di buttafuori e danneggiamenti affinché il servizio di controllo sui locali venisse lasciato a loro.

Mire che andavano dalla storica discoteca di Potenza Basiliko’s, al Chicas di Tito Scalo fino a un veglione di capodanno organizzato al palasport di Ruoti.

Una serie di condotte di natura estorsiva per l’accusa, che sarebbero avvenute proprio in virtù i intimidazioni a carattere «mafioso». E l’accusa ha sottolineato, anche nel chiedere il processo, come secondo la Cassazione «la circostanza aggravante del metodo mafioso è configurabile anche a carico di un soggetto che non faccia parte di un’associazione di tipo mafioso ma ponga in essere un comportamento minaccioso tale da richiamare alla mente e alla sensibilità del soggetto passivo quello comunemente ritenuto proprio di chi appartenga a un sodalizio del genere anzidetto».

«Nessuno degli indagati – hanno invece replicato i difensori è mai stato oggetto di una condanna definitiva a carattere mafioso e la stessa Cassazione ha sempre annullato le sentenze dei primi due gradi di giudizio che configuravano questo scenario».

Un confronto che già pare destinato a ripetersi davanti al collegio penale”.