NEL POTENTINO IL MISTERO DEL FANTASMA DELL’INFELICE POETESSA LUCANA CHE ALEGGIA TRA LE STRADE DEL BORGO MEDIEVALE!

L’Archeoclub d’Italia – sede di Tolve “Tulbium” in collaborazione con il Parco Letterario “Isabella Morra” organizza un evento per omaggiare la poetessa lucana.

La manifestazione che rientra nell’ambito della III edizione della rassegna “La letteratura lucana a Tolve” si terrà il prossimo Venerdì 3 Agosto alle ore 20:00 nel centro storico di Tolve (PZ).

L’omaggio a Isabella Morra narrerà della sua vicenda umana e poetica tra musica e racconto.

Presenti all’incontro:

  • Alessandra D’Eugenio, presidente Archeoclub di Tolve “Tulbium”;
  • Pasquale Pepe, sindaco di Tolve;
  • Piera Chierico, addetta stampa Parco Letterario Isabella Morra.

Quest’ultima, narrando la storia di Isabella Morra, ha scritto:

“Isabella Morra nasce a Favale (odierna Valsinni) nel 1520.

“Femminista ante litteram”, è indicata come la voce più originale e autentica della lirica cinquecentesca, secondo il critico Benedetto Croce che ne riscoprì la storia.

Dacia Maraini, che le ha dedicato un’opera teatrale, la considera l’emblema della donna che, attraverso la cultura, cerca di affermare il proprio diritto alla libertà.

Terzogenita di 8 figli, Isabella vive la sua intera e breve vita nel castello arroccato sulla collina, nel cupo e profondo sud della Basilicata, negli anni in cui le grandi potenze di Francia e Spagna si contendevano l’egemonia del mondo e del Regno di Napoli.

Nella contesa il barone Morra si schiera con l’esercito francese contro Carlo V e persa la guerra, preparate in tutta fretta le valigie, è costretto all’esilio. In Francia, dove giungerà con il figlio Scipione, sarà nominato regio consigliere e poeta di corte mentre il figlio diventerà segretario della Regina Caterina De Medici.

Non torneranno mai più in patria.

Isabella rimane nel feudo di Favale. Il vecchio e tetro castello normanno diventa sua prigione e tomba.

La valle verdeggiante, che vede dagli spalti del castello, diventa una “valle inferna”, circondata solo da “ruinati sassi”, attraversata da un “fiume alpestre” e abitata da “gente irrazionale e priva di ingegno”, come scrive nelle sue poesie.

Anima delicata e gentile, formatasi nella lettura dei classici e del Petrarca, Isabella vede inevitabilmente sfiorire la sua beltà e la sua giovinezza sempre chiusa nella realtà del piccolo feudo, prigioniera del tempo che vive.

Piange della sua condizione di donna e di meridionale; in quanto donna non può godere di determinati privilegi riservati solo agli uomini, in quanto meridionale vive una realtà contadina, tra gente di una mentalità “chiusa e ristretta”, in una terra lontana chilometri da Napoli, capitale del regno e della cultura.

Unico conforto in tanta solitudine: la poesia!

Alla poesia affida i suoi più riposti pensieri e segreti e alla poesia confida le sue ansie e i suoi tormenti: l’odio per la terra natìa e l’amore profondo per il padre esule in terra straniera.

A questa sua triste condizione di solitudine e disperazione seguì più tardi la rassegnazione cristiana.

Fu proprio nel bel mezzo della ritrovata pace religiosa che all’orizzonte della giovane donna, appare la figura fascinosa del poeta Diego Sandoval De Castro, sposato con donna Antonia Caracciolo, padre di tre figli, barone delle terre di Bollita (odierna Nova Siri).

Tra i due ci fu una semplice amicizia, una corrispondenza letteraria, o forse amore? Questo non lo sapremo mai!

I critici parlano di un innocente scambio di lettere, mentre i maligni di uno scambio di amorosi sensi, di una relazione sentimentale.

Questa diceria decreta la sua condanna a morte.

Decio, Fabio e Cesare, appresa la notizia di questa relazione, decidono di lavare con il sangue l’onta del disonore.

Diego Sandoval era sposato ma, cosa ancora più grave, era uno spagnolo, mentre loro erano filofrancesi.

C’era l’odio verso lo spagnolo vincitore e padrone del Regno di Napoli.

Nell’autunno del 1545 compiono l’atroce delitto.

Uccidono brutalmente Torquato, il pedagogo della sorella, strangolandolo ai piedi del castello, mentre rientrava da Bollita con in mano una lettera di Diego per Isabella.

Raggiungono Isabella nel castello e la uccidono (presumibilmente nella sala delle armi) con colpi di pugnale.

Canta per le strade del borgo il menestrello di Favale:

Isabella morì con le sue disperazioni/ lasciandoci in memoria le canzoni/ il dolce fiore mai sbocciato sempre in nome del peccato/ e della civiltà dei fratelli che l’affidano ai loro coltelli”.

Nel 1545, nel bosco di Noia (odierna Noepoli) tendono un agguato a Diego che troverà la morte ucciso con tre colpi di archibugio.

Scrive Alonso Basurto, governatore della Provincia di Basilicata che Diego trovò la morte per aver festeggiato la Hermana (germana) di un barone.

Nessun accenno all’infelice Isabella!

Il corpo di Isabella nessuno lo ha mai ritrovato, questo evento ha dato vita nel corso degli anni e secondo le dicerie tramandate oralmente dagli antenati, al mito del fantasma.

Lo spirito di Isabella aleggia ancora tra le stanze del castello e le strade del borgo medievale”.

Un appuntamento con la cultura che ancora oggi intriga e affascina.

Di seguito la locandina dell’evento.